La pretesa di insegnarci come parlare
La pretesa di insegnarci come parlare ….. e di colpevolizzarci
In principio fu la parola “ negro” a capitolare, ci venne consigliato di sostituirla con parole come “nero” o “ di colore”. Poi toccò a parole decisamente innocenti come vecchio, cieco, bidello, donna di servizio, spazzino, che nessuno si sognava di usare in modo dispregiativo. Ci venne detto che dovevamo sostituirle con parole nuove : “anziano”, “ non vedente”, “ collaboratore scolastico “, “collaboratrice domestica”, “Operatore ecologico“. Un’ipocrisia questa del nuovo lessico poi però è intervenuto un salto di qualità. Sugli aerei si cominciò a bandire “signori e signore benvenuti a bordo” semmai ci fosse qualcuno che non si sente ne maschio ne femmina. Nel mondo dell’elettronica si cominciò a bandire termini come: “jack maschio e femmina (chiaramente sessiste”) nel mondo dell’informatica parole come architetture “master slave”(chiaramente colonialiste) , nelle relazioni internazionali espressioni come “black list” (lista nera)da sempre usata per elencare persone od organizzazioni pericolose. L’elenco potrebbe proseguire ancora a lungo. Ora è però in atto qualcosa di più‘ profondo e inquietante: la pretesa di insegnarci come parlare e di colpevolizzarci se non parliamo come dovremmo ha preso una una piega più sottile e intollerante, non solo l’uso di parole, ma che si facciano discorsi corretti.
Però attenzione, il giudizio di correttezza non tocca soltanto i contenuti dei nostri discorsi, persino il modo in cui altri potrebbero leggerli o interpretarli, per non urtare la suscettibilità degli innumerevoli interlocutori, essendo noi quasi costretti a blindare il senso generale del nostro discorso. Tutto è cominciato con il Covid e con la premessa per cui qualsiasi ragionamento, anche blandamente critico e dubitativo sul vaccino doveva essere preceduto da una dichiarazione di fede vaccinale (sono vaccinato, ho fatto la terza dose, i miei figli sono tutti vaccinati). Poi le cose sono ulteriormente degenerate con la Guerra in Ucraina e la conseguente necessità di premettere che si detesta Putin, che c’è un aggredito è un aggressore etc. Ora qualcosa del genere è in atto sul clima, ove qualsiasi discorso sull’ambiente deve adoperarsi per evitare l’accusa di “negazionismo climatico”.
Quel che questi esempi illustrano non è altro che una drammatica perdita di facoltà mentali basilari, come l’uso della logica, la distinzione fra livelli di un discorso, la capacità di separare le affermazioni fattuali da quelle normative. Non è una deriva completamente imprevista o imprevedibile. L’idea che ogni discorso, a partire da quelli oggettivati in un testo o in un’opera, non sia prigioniero per sempre nel senso che gli ha dato l’autore, ma sia aperto all’interpretazione dei suoi destinatari, era già stata avanzata negli anni 60’ da Umberto Eco e da Roland Barthes. Ma qui siamo andati molto oltre, non siamo di fronte ai meravigliosi, sofisticati giochi dell’interpretazione e dell’esegesi, ma al gioco truccato della superficialità, dell’ignoranza e ,della faziosità. Per meditare su Eco e Barthes, forse dovremmo, più umilmente, recuperare un detto attribuito a Troisi : “Io sono responsabile di quello che dico, non di quello che capisci tu”. Basterebbe questo, in un attimo a disinquinare il discorso pubblico. Concludo con una notizia che riguarda la mia passione, quella venatoria, ove la caccia e il cacciatore sono state oggetto di un’altra deriva guidata del pensiero dominante ove l’immagine del cacciatore è presentata in maniera distorta e lontana della realtà. L’ultima trovata per far fronte alla situazione creatasi consisterebbe nel sostituire la parola cacciatore con “Bio-selettore” più politicamente corretta per dare un senso diverso e più adeguato a quello che il seguace di Diana di fatto è già: “Sentinella dell’Ambiente e Custode della Natura”. Una risorsa per là Gestione della Fauna e per la tutela della Biodiversità. Io mi batterò in tutte le forme e le sedi affinché non si ceda a questa deriva Orgoglioso come sono di essere Cacciatore.
Fortunato Busana – cacciatore e dirigente venatorio
2 Commenti
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at 07:56
Ho letto per caso il tuo articolo mentre cercavo notizie riguardo la questione piombo e acciaio, visto che ieri la provinciale a Pavia cercava di intimidirci consigliandoci avvocati per verbali che arriverebbero a 100mila euro se giriamo col piombo…a proposito di derive del pensiero.
Uno dei miei cantautori preferiti nel 2011 anticipava tutta questa “decadenza” nel suo ultimo album intitolato appunto Decadencing, il resto l’hai scritto tu nel tuo articolo. Complimenti e grazie per l’emozione.
Un saluto in empatia.
Enrico Musatti
at 08:38
Faccio i complimenti al Dirigente Venatorio Fortunato Busana.
Ormai ci stiamo adeguando anche noi mondo venatorio a questo politically correct becero e stupido. Come se dire una parola piuttosto che un altra migliori la situazione del singolo, del soggetto a cui è rivolta. Ora anche qui: dobbiamo quasi quasi giustificare il nostro essere cacciatori perché ce lo impongono i signori in giacca e cravatta. Posso capire se il cacciatore è ANCHE un bioregolatore, dando valenza al ruolo oltre che di praticante di un’attività ludico ricreativa e sportiva all’aria aperta anche di incaricato a un pubblico servizio, di operatore faunistico per dire. Ma dire: “noi non siamo cacciatori ma bioregolatori” , questo per me piano piano sarà il segno che pur di andare a “caccia” a tutti i costi non si andrà più a caccia alle specie tradizionali ma solo alle specie oggetto di piani di contenimento o di selezione. Della serie: colombacci, beccacce, tordi, quaglie ecc… piano piano ci diranno un bel giorno “perché li cacciate se non c’è motivo di farlo come avviene per i cinghiali? Siete solo bioregolatori, non cacciatori!”
E già questi discorsi inizio a sentirli….noi qua noi là…..io finché andrò a caccia sarò CACCIATORE, punto.