L’idea della macroregione del nord… della caccia
Che caccia ci aspetta dalla terza domenica di settembre?
In molti si pongono questa domanda, soprattutto in quella che è definita la “macro-regione del nord”, dove le tradizioni venatorie sono di casa, dove ci sono le fabbriche d’armi con tutto l’indotto che ne consegue, dove si concentra la più alta densità di cacciatori d’Italia. Ma è proprio chi ha sostenuto (e sostiene) la macro-regione del nord che rema contro, a cominciare da quelli (lega e pdl), che nel Consiglio provinciale di Milano, hanno sostenuto la mozione per vietare la caccia con i richiami vivi.
Già… i richiami vivi… E il censimento fatto in Lombardia dove lo mettiamo? Una bella fregatura. Prima fanno censire i richiami di cattura detenuti per la caccia da appostamento fisso (con una spesa di circa 200.000 euro, sostenuta dalla Regione Lombardia), poi arriva la sentenza definitiva del Tar che (scontato) dà ragione alla LAC (Lega Abolizione Caccia) e ribadisce che l’uccellagione con le reti va chiusa. Così anche quest’anno niente catture nei roccoli, che resteranno a perenne ricordo della caccia che “fu”, come splendidi ornamenti delle nostre montagne.
Per non parlare poi delle “deroghe”, altro riflesso dei bei tempi, quando si potevano cacciare il fringuello e la peppola. Ora è tutto in alto mare (nel vero senso della parola) perché i nostri amici politici, quelli che hanno fatto promesse e chiesto voti in campagna elettorale questa primavera, sono spaparanzati sulle sdraio. Si parla tanto di revisione della “157”, della revisione del “19 bis”, ma di fatti concreti non se ne vedono, se non i tanti paletti, che sistematicamente vengo posti contro la caccia e contro i cacciatori.
Piani faunistici regionali e calendari venatori provinciali che vengono impugnati dai soliti animalisti metropolitani, situazioni che impediscono il regolare svolgimento di una passione legittima e che non provoca stermini. Gli abbattimenti di una stagione venatoria costituiscono solo l’1% sulla mortalità e di specie in estinzione non ce ne sono. Basta pensare allo storno e i soldi che le province devono pagare per il risarcimento dei danni provocati all’agricoltura.
Se l’ISPRA non fornisce i dati sulla presenza delle specie e sulla migrazione, che si dia la possibilità di fornirli agli osservatori regionali! O quantomeno che i dati possano essere confrontati. Basta essere presi in giro, che ci dicano con onestà che la caccia non è più praticabile, che l’uccellagione è vietata, che le fabbriche armiere (circa 100mila addetti) devono chiudere, che le aziende faunistiche del Piemonte convertano il reddito nelle risaie ecc. Vorrà dire che i cacciatori del nord, che versano 173,16 euro di concessione governativa a testa ogni anno, staranno a casa.
Si provi a fare il conto di cosa costerebbe alla comunità lasciare a spasso i lavoratori del settore e quanti soldi la sola regione Lombardia (circa 80mila cacciatori) non incasserebbe più. Fra i tanti problemi che ha questa nazione quello della caccia è certamente tra quelli meno importanti, da un certo punto di vista, ma dall’altro, quello dell’occupazione certamente no.
Disturba, inoltre, il silenzio di certe associazioni, che stanno ancora alla finestra ad aspettare il politico di turno e le sue promesse. Sarebbe ora di pensare invece alla macro-regione del Nord della caccia. Un invito esplicito lo rivolgo proprio alle associazioni, affinché dialoghino fra di loro, si uniscano (la Francia insegna), costruiscano, impedendo che chi è contro le tradizioni e contro la cultura venatoria possa prevalere. Facciamo sentire la voce dei cacciatori, uniti e con proposte e progetti seri. Basta alle piccole beghe di condominio tra associazioni varie, europarlamentari e assessori. Lombardia, Piemonte e Veneto potrebbero insieme costituire un esempio per tutta la nazione: la macroregione venatoria.
Beppe De Maria
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